Quest’estate facendo le mie solite zingarate in rete alla ricerca di stimoli e contenuti ho iniziato a trovare “pesante” e artefatto quello che vedevo. Ho iniziato a riflettere se quello che ho sempre amato della moda fosse quello che stavo vedendo e no, non era quello.

Prima di cominciare a scrivere quello che poi comunque scriverò, devo fare una premessa e una precisazione. Premetto che non sono un giornalista, in quanto non appartengo all‘ordine, anche se sarei potuto essere un pubblicista già da tanto avendo fatto il percorso in un free press a cui devo molto di quello che so fare oggi, e che quindi non sono un professionista, almeno sulla carta, ma che per fortuna ho una testa pensante e mi piace dire la mia sulle cose, ma solo se sento che l’argomento mi sia affine.

Uso la rete per una naturale evoluzione e per un bisogno tutto personale di esprimermi e di testare ciò che è nuovo, ma non sono così “giovane e smart” da accettare tout court alcune dinamiche o “regole” attuali, perché ho conosciuto un mondo che aveva regole diverse, non necessariamente più giuste, ma sicuramente diverse.

Questi giorni Milano come sempre è stata invasa dal popolo della moda con tutto quello che questa definizione racchiude. Professionisti di vario genere, direttori di testate di settore, fotografi, fashion editor, blogger, stylist, buyers, presunti tali e semplici egoriferiti.

Una volta un nome di grande peso in questo modo, solo a scriverlo un po’ ho timore, disse che i fashion blogger stavano inquinando il Mestiere della moda. Lei è Franca Sozzani (io un pazzo a citarla) e quello che ho scritto è il senso di una sua affermazione, ma per dovere di cronaca cito esattamente la fonte: “Non hanno punti di vista, ma parlano solo di se stesse/i e si fotografano con abiti assurdi. Qual è il senso? Intanto io non so neanche chi siano, a parte qualcuno/a, perché sono tanti e tutti uguali, e così presi nel cambiare vestito per farsi notare, che automaticamente ai miei occhi diventano un gruppo e non delle singole persone”.

Lo scriveva il 28/01/2011 sul suo blog inserito in vogue.it, dimostrando il suo disinteresse al fenomeno, da lei ritenuto una moda passeggera. Un concetto pesante e impopolare considerato che la rete è inarrestabile e che che lei lo diceva da un Blog, hanno pensato in tanti. Parole che ancora oggi a distanza di tempo hanno un senso e sono diventate “profetiche”.

Non credo che la signora Sozzani abbia poteri divinatori, ma semplicemente che conosca il suo mestiere e questo mondo.

Quest’estate facendo le mie solite zingarate in rete alla ricerca di stimoli e contenuti ho iniziato a trovare “pesante” e artefatto quello che vedevo. Ho iniziato a riflettere se quello che ho sempre amato della moda fosse quello che stavo vedendo e no, non era quello.

La moda è un universo creativo, è un calderone d’idee, è un sogno, è un mercato, è un’industria, è storia, è specchio dei tempi, è tante cose. Ma è soprattutto una professione che deve essere affrontata con professionalità.

Vedere alcuni eccessi di “stranezze” mi ha fatto pensare a quanto tutto questo danneggi un sistema intero. Ad alcuni personaggi probabilmente la cosa è “sfuggita di mano” e di chi è la colpa?! Di tutti! Di chi ti fa credere che un outfit sia tutto, di chi mette il mi piace perché conferma che è vero, di alcuni addetti ai lavori che alimentano quel fenomeno.

Ovviamente questo non significa che io non ami l’eccesso o l’eccentricità. Dalla Marchesa Casati passando per la Schiaparelli, arrivando ad Anna Piaggi, leccentricità culturale mi ha sempre affascinato, ma proprio perché era culturale e non fuffa. Non permettiamo alle baracconiste e ai baracconisti di offuscare quello che prima di tutto è un lavoro.

Guardando le selezioni di “X Factor” un candidato che vive e lavora a Londra alla domanda di Fedez sul perché avesse lasciato il nostro Paese ha risposto: “Perché qui se dici che fai il musicista, ti dicono: dai davvero che lavoro fai?“.

La gente comune di fronte alla creatività, a percorsi alternativi e a scelte artistiche sa vedere solo il lato non serio e pensa che sia solo un hobby.

Quello che ha detto il concorrente mi ha fatto pensare a quanto già dire di amare la moda faccia di te un personaggio strano da vari punti di vista, e ancvor più, vedendo solo la parte più “circo”, venga sempre di più ignorato quanto sia pensante, serio e, in alcune zone, indispensabile, questo sistema.

Ben venga la creatività e la ricerca e anche la stramberia, ma quando è reale. Bisogna saper esprimere se stessi e non solo la voglia di apparire. Avere gusto, essere particolari è una cosa che hai e che sei ogni giorno e non solo per uscire ad affrontare i flash irreali di una popolarità effimera.

Se, oltre ad indossare le ciabatte da casa con il sotto della divisa dei pompieri e un cappello che neppure ad Ascott avrebbe senso, molte di queste social star sapessero anche fare un’analisi, cogliere un riferimento, comprendere il perché di una scelta e lo sapessero anche raccontare forse non avrebbero bisogno di troppi orpelli.

Girando per Milano, fra una sfilata ed una presentazione, io ho voluto notare solo i professionisti, i giovani che ci credono, chi da tanti anni lavora con passione e quello che di magico la moda ha da offrire.

Mi piacerebbe si tornasse a parlare di questo e meno dei “fenomeni”.

Io la vedo così!

 

A proposito dell'autore

Secondogenito e gemelli: questo la dice lunga sul mio carattere. “Ottantologo”, Pop addicted, nel corso degli anni ho collaborato con diverse testate, tra cui L@bel, Progress e Aut. La moda è la mia passione più grande perché è cultura, è visione sociologica della vita e del mondo. Freitag addicted le vorrei avere tutte. La Rete è la mia seconda casa. Sono dieci anni che il mio avatar è Psikiatria80, nome del mio primo blog, ma anche di tutti i miei profili sui tanti social network.

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